Parlar “bene” … o … parlar “male” …

Riceviamo da Davide Cavinato questa, implicita, risposta ad Attilio Pizzigoni e volentieri ve la giriamo …

parlar bene di” è uno sforzo utile e forse nuovo, soprattutto in un luogo e in un momento storico in cui il tirar acqua al proprio mulino, vuoi per orgoglio teoretico vuoi per mero interesse professionale ergo economico, è attività gettonatissima e quasi sport nazionale all’ordine del giorno. Io credo che però finché ci si limiterà a “parlar bene di” o a “parlar male di” e, soprattutto, finché nelle facoltà di architettura la parte “teorica” dei laboratori di progettazione sarà proporre un campionario di esempi da imitare (come succede nel 90% de casi), credo che non ne usciremo mai. Finché sentiremo x incensare y (e lasciamo perdere l’esempio singolo del Tafuri…ha scritto anche cose importanti, via) oppure y gettare guano su w, rimarremo al punto di partenza: è un sogno immaginare una scuola di architettura in cui si insegni a problematizzare delle questioni e a guardare degli esempi in maniera critica, senza per forza idolatrare questa o quell’altra archistar? In cui, se devo progettare una casa unifamiliare, mi insegnano COS’E’ una casa unifamiliare proponendomi criticamente delle soluzioni alternative, e NON a copiare una casa fatta da questo piuttosto che da quest’altro? E’ un sogno sperare che la ricerca sulla didattica architettonica in Italia si spinga in maniera seria a isolare delle invarianti per costruire un linguaggio, capace di volta in volta di declinarsi a seconda del background dell’autore, dell’atmosfera ineffabile, eppure percepibile, del luogo (per parlare di gente importante che non si studia nelle scuole…)? Probabilmente allora riusciremmo a evitare l’imperdonabile errore di prendere per oro colato tutto ciò che esce dalla matita di questo o quell’altro, e al contempo di stroncare qualsiasi cosa venga partorita dalla mente di quell’altro. Quindi allora capiremmo l’importanza fondamentale di conoscere Gregotti e Tafuri (soprattutto Tafuri, provate a chiedere a uno studente italiano al terzo anno se sa chi è…), Piano, Rossi, etc., riusciremmo a lodare giustamente le loro opere meglio riuscite, ma avremmo anche il coraggio di dire, per esempio, che lo Zen è una bestialità, che il 90% dei municipi della pianura padana è un patetico e irritante revival rossiano senz’anima e che la spettacolare Chiesa di San Giovanni Rotondo, magnifica esaltazione dell’estro di un grande progettista, probabilmente con lo spirito del luogo e del culto cui è preposta forse non c’entra un granché. Credo che il problema sia questo: la colpa non è tanto di questo o di quello, ma veramente, e non è un luogo comune, penso (opinione personalissima di un laureando qualsiasi) che responsabile di tutto ciò sia un modo di considerare l’architettura e di rapportarsi con essa che ha sì prodotto grandi risultati negli anni, ma ormai ha fatto il suo tempo. Probabilmente c’è bisogno di un “parricidio”, che, bada ben, non è rinnegare il passato e i maestri, ma, anzi, conoscerlo a fondo per porsi l’obiettivo di superarli e di andare oltre, NON di scimmiottarli o peggio, di esserne gli epigoni. Allora forse vedremmo una coscienza architettonica più consapevole e condivisa, concorsi con esiti meno polemici e forse non vedremmo più ascensori sul Vittoriano, morfemi a Vema e via discorrendo. E anche i seguaci dei vari Gregotti, Rossi e compagnia cantante farebbero meno danni …”

a me di “parlar bene” … viene piuttosto “male”, …
ma questa lettera sul “parricidio” …
la condivido pienamente …

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17 risposte a Parlar “bene” … o … parlar “male” …

  1. fabio vignolo ha detto:

    Parole sante…da studente (appena iscritto alla laurea specialistica della II facolta di architettura di torino…ahimè..) confermo quanto scritto in questo vostro post…non si può tollerare che in laboratori di progettazione o composizione (come li chiamano altrove) sia indispensabile o espressamente richiesto dal docente di turno dedicare ampio spazio (in termini di elaborati grafici si intende) alla presentazione di riferimenti architettonici presi qua e là, magari solo per una forma accantivante da emulare o riprendere pedestremente, a testa bassa, sempre e comunque sperando che il docente, oltre alle solite immagini di Renzo Piano piuttosto che del trito o ritrito Libeskind, apprezzi lo sforzo del gruppo di lavoro di inserire una bibliografia di riferimento scaricata da qualche sito o copiata da qualche rivista, la prima a portata di mano sia chiaro!!!, magari comprata ad hoc in libreria di facoltà, per dimostrare a loro stessi uno sforzo intellettuale degno di zelanti studenti di architettura…L’immagine supera così il tempo della fantasia, l’adesione a modelli precotti e imbustati, subito pronti e l’influenza formale a buon mercato quello della ricerca intelletuale…

    saluti e complimeti per il blog

    P.s. inserito tra i miei blog preferiti….è ufficiale!!

  2. isabella guarini ha detto:

    Certamente non è proficuo limitarsi a dir male o bene di questo o quell’altro che realizza opere. Tuttavia, faccio una riflessione sulla storia dell’architettura in tempo reale. Perché studiamo la storia dell’architettura suddivisa in periodi storici catalogabili con definizioni che indicano l’appartenenza a un determiato linguaggio? Perché le tante storie si sono formate per imitazione di opere- evento, più rappresentative dell’establishment, templi, palazzi, chiese, castelli e via discorrendo. Perciò non ci sogneremmo di criticare una chiesetta romanica in un luogo sperduto e di fare pollice verso sol perché emula monumenti più rappresentativi del Romanico. Lo stesso dicasi delle dimore gotiche ad imitazione delle grandi cattedrali, per cui non ci sfiora nemmeno il pensiero di condannarle. Anche la modernità, in architettura, si è formata per emulazione dei grandi maestri. Secondo me il problema che rende, oggi, negativa l’emulazione, che diventa banale esercizio accademico, è il fatto che non si dà la possibilità di verifica del prototipo, ampliando il numero degli architetti che costruiscono, per cui gli imitati sono sempre gli stessi, mentre la realtà urbana, quella dello spazio costruito, è sciatta, degradata e inquinata dal punto di vista ambientale ed estetico. Bisognerebbe fare un manuale delle architetture -evento da emulare su basi critiche, scegliendo gli indicatori di adattabilità. Potrebbe essere un’idea vecchia come il mondo!

  3. Davide Cavinato ha detto:

    Giusto per precisare, e per non sembrare uno di quei soloni che si lamentano e basta, o, peggio, uno di quei laureandi “fuori tempo massimo” che cercano esecrabilmente di celare i loro insuccessi dietro le falle del sistema o proclamandosi vittime del sistema stesso…Io studio e sto completando la mia tesi a Venezia, al glorioso IUAV, e esprimo questo pensiero perché, per mia somma fortuna, in mezzo a tanti laboratori o corsi che poco mi hanno lasciato che non fosse risultato di un percorso di ricerca del tutto autonomo e non indotto, ho potuto interagire con poche ma illuminate figure che mi hanno fornito se non altro gli strumenti per misurare la distanza tra l’architettura critica e il manierismo di moda. Ho avuto tra l’altro la fortuna di fare queste esperienze in due momenti chiave (oltre all’erasmus, che però io non ho fatto), a mio modo di vedere, della vita universitaria di un allievo architetto, e cioè il primo anno e la tesi: e vi assicuro che sentire parlare per la prima volta in modo serio e approfondito di certe questioni in un seminario di dottorato di urbanistica (come uditore invitato) dopo cinque e più anni di corsi ordinari, beh, se da un lato conforta perché legittima i dubbi sorti lungo un iter di studi e di ricerche personali volte costantemente (e a volte “donchisciottianamente”) a cercare quello che sta dietro a ogni gesto progettuale, a ogni singola scelta, dall’altro è piuttosto inquietante.

  4. Davide Cavinato ha detto:

    …un’idea vecchia come il mondo, che però come tanti piani regolatori magnifici lasciati ammuffire in un cassetto perché non conformi a logiche speculative e interessi localistici, non è detto che sia sbagliata, anzi, spesso è la migliore. Come è pur sacrosanto che l’emulazione di opere-evento è stato il motore imprescindibile dello sviluppo dell’architettura e dell’estetica architettonica nei secoli. Il problema però è il livello e il piano dell’emulazione: un conto è, ribadisco, scimmiottare per adesione a un partito morfologico o tipologico che sia, un conto è decontestualizzare e citare un riferimento. Allora credo ci possa essere un punto di contatto, anzi, che sia quello decisivo: e allora torna buono, anzi, necessario, il perdere ore a ridisegnare riferimenti (quello non fa mai male), il più eterogenei possibile, con lo scopo di costituire un repertorio formale dal quale attingere nel modo più imprevisto e imprevedibile. E’ certo un modo di procedere più faticoso e rischioso perché del tutto non lineare, ma di sicuro il più prolifico di conseguenze e sviluppi veramente “novatori”: penso (altra opinione personalissima) che, più di ameboidi, nuvole e quant’altro, questo sia il medium dell’espressione della complessità, grande moloch che imperversa sui testi di urbanistica da una decina d’anni a questa parte. E, cosa più interessante, sono anche convinto del fatto che non sia un modo di procedere così diverso da quello che di volta in volta, nella storia dell’arte e dell’architettura in particolare, ha prodotto quei salti nel futuro che hanno fatto evolvere la ricerca architettonica: penso alla Chiesa del Redentore di Palladio, alla Santa Bibiana del Bernini, alle prime ville di Le Corbusier (pur con tutta la loro carica ideologica), alle opere di Louis Kahn. Di più: credo che non sia poi così diverso, anzi, vedo un’analogia totale, con quanto contenuto e costruito dai contemporanei decostruttivisti, non in tutto ma sicuramente negli esempi più puri e genuini. Senza considerare tutta quella fuffa frettolosamente bollata come decostruttivista solo perché magari vagamente riconducibile a una stereometria non cartesiana o comunque fratturata, penso che il messaggio che ci viene da testi come l’ultimo di Eisenman su Terragni sia assolutamente da recepire, e sia la strada giusta da seguire, non magari nel merito (non ho i titoli per dirlo), ma sicuramente nel METODO. E forse non è un caso che nelle scuole di architettura, o si snobbano autori come Rowe, Alexander, Anderson, Venturi, Eisenman stesso, si buttano insieme nel calderone capolavori e porcate e si bolla il decostruttivismo col marchio d’infamia di vague modaiola e glamour, oppure si propinano il Gehry, il Libeskind, ma come? come oggettini belli da copiare!
    Lungi da me con questo il voler fare l’apologo del decostruttivismo, ma mi pareva un esempio calzante di quale sia la distanza tra quello che si fa nelle scuole e quello che invece spinge avanti il dibattito architettonico. Chiudo con una postilla: quando ero all’inizio, ricordo che al primo anno, prima di dare Composizione 1, ho seguito un corso di Caratteri Tipologici e Morfologici dell’Architettura, in cui il titolare, Armando Dal Fabbro, mi parlava, tra le altre cose, di Scuole Grandi di Venezia, di Acropoli di Atene, della Cité de Réfuge di Le Corbusier, di James Stirling, Five Architects e di molte altre cose ancora, e il filo conduttore generale era “Teoria generale del montaggio” di Ejzenstejn; ricordo anche che in un altro canale Adriano Cornoldi teneva un corso analogo in cui riproponeva il modus operandi dei suoi due magnifici libri “L’architettura della casa” e “L’architettura dello spazio sacro”. Bene, ora, nell’università del 3+2, il corso è opzionale…Orate fratres…

  5. salvatore digennaro ha detto:

    a sostegno del “sogno” di Davide Cavinato posso testimoniare che nella facoltà di Bari (non certo un posto idilliaco) qualcosa in tal senso si fà, infatti pur con metodi poco democratici, da diversi anni si tenta, spesso si impone, di studiare e comprendere i principi fondativi dell’architettura a partire dallo studio ossessivo, dei CARATTERI TIPOLOGICI E MORFOLOGICI e di guardare ad esempi provenienti dai nostri contesti storici -“mediterranei e de pietra”- come dice il prof. D’Amato…non sempre amato dagli studenti per questa sua crociata culturale contro gli infedeli “elastico lignei “…e globalizzati…
    scherzi a parte a tre anni dalla laurea, pur non condividendo alcuni riferimenti troppo retorici, baroccheggianti o monumentali su cui ci si soffermava, credo che quei principi di base e quelle invarianti dell’architettura (non presi in maniera meccanica e banale) possono rappresentare un metodo oggettivo molto utile sia nella progettazione sia nel comprendere qualche bel progetto “contemporaneo”…
    ricordo una bella affermazione di un docente che riteneva più utile all’insegnamento progettuale guardare Mies che non Le Corbusier,
    il secondo era troppo artista (e forse troppo star) quindi potenzialmente dannoso ad uno studente…

  6. Manuel Marchioro ha detto:

    Sono anch’io laureando alla specialistica dello IUAV (3+2), e confermo le ultime parole di Cavinato. Ho seguito anni fa il corso di Caratteri Tipologici e Distributivi degli Edifici tenuto dal prof. Cornoldi (immenso…) e che era per l’appunto un corso opzionale a scelta libera. Beh, ho imparato di più su come si progetta in quel corso che nei molti corsi di Composizione che ho frequentato sia prima che dopo… ricordo molto bene di aver pensato che un corso del genere dovrebbe essere obbligatorio già al primo anno, prima di qualsiasi corso di Composizione… ora so che PRIMA era esattamente così… in compenso ci hanno riempito di corsi di Composizione e di laboratori di Progettazione brevi e spicci in cui si lavora così in fretta e male che alla fine nel proprio bagaglio culturale di architetto rimane ben poco… che è successo??

  7. Angiolino Imperadori ha detto:

    Io di Gregotti voglio parlarne bene, mi sono laureato con Giudo Canella ed Antonio Acuto che all’unisono, nel corso di un chiarimento definitivo, a muso duro mi dissero : guarda che noi non siamo quelli dei cubetti e delle cassette della frutta alla Gregotti.
    Spiegazione per le cassette : se date un’occhiata alle planimetrie dei masterplan anni 80-90 elaborati da Gregotti nei vari concorsi vi comparivano invariabilmente strisce di isolati rettangolari con torrettine agli angoli tipo cassetta della frutta vista in pianta.
    Pertanto sono abbastanza vaccinato rispetto alle modalità tradizional moderniste cartesiano suadratine di concepimento dello spazio urbano, ma in questi anni ho rilevati lo sputtanamento modaiolo di Casabella, l’imperversare delle renderizzazioni Koolasiane senza costrutto, l’abbandono della ricerca paziente? sui destini delle città che per fortuna non sono tutte uguali e non si meritano il monopensiero della bigness risolvitutto, ed a Brescia, la mia città, una delle poche architetture di un qualche interesse è una banca di Gregotti;……mausolei contro computers?

  8. federico calabrese ha detto:

    uniche invarianti che ho conosciuto all’universita’, sono le famiglie, le generazioni, le CASTE di professori di figli, nipoti, fidanzati, fratelli, amici, etc. etc.

    passo al prof. muratore questa lettera di antonio rossetti alla repubblica di qualche giorno addietro.

    Scritto da Antonio Rossetti da la Repubblica Napoli, 27-09-2007
    Caro direttore, sono ricercatore confermato presso la Facoltà di Architettura di Napoli Federico II dal 1980, dopo essere stato borsista ministeriale e contrattista. Non ho mai partecipato a concorsi per associato, pur avendone i titoli, poiché il risultato era già noto a tutti, né mi sono interessato di sapere dove e quando si svolgessero. Ho preferito studiare, scrivere, pubblicare e, soprattutto, dedicarmi alla didattica.
    Tutto questo fino all´ultimo concorso bandito nel maggio 2005, concorso per due posti di associato in Progettazione architettonica, bandito dalla mia facoltà. Al solito non ne ero neanche informato. Sono stati i miei colleghi a spingermi a partecipare, considerando sia il mio curriculum, sia la circostanza che ormai i figli, le mogli, i parenti, le ex mogli, le o gli amanti degli ordinari erano stati sistemati, e dunque, finalmente, vi era per me la possibilità di vincere.
    La commissione è formata dai professori ordinari Scarano, D´Auria e Borrelli di Napoli e dai professori associati Sajeva di Roma e Arcidiacono di Reggio Calabria. Il concorso inizia a settembre 2006, i candidati sono diciannove, e solo allora leggo che tra questi c´è Maria Rosaria Santangelo, figlia del vicesindaco di Napoli, uno dei più noti notai di Napoli, fondamentalmente ex presidente, ma tuttora interessato al progetto Bagnoli Futura, ossia incarichi progettuali milionari a venire.
    Il concorso segue il suo iter: giudizi comparativi sui titoli presentati, giudizi comparativi sulla discussione dei titoli con il candidato, lezione pubblica. Ma le cose non scorrono lisce come dovrebbe essere. Anzitutto la commissione guarda molto superficialmente i titoli, tanto da sbagliare sia la denominazione sia il contenuto di molti elaborati. La lezione pubblica, poi, fino a un certo punto viene tenuta in un´ampia sala con sedie per il pubblico, l´ultimo giorno, invece, quando la lezione dovevamo tenerla, in ordine alfabetico, io, la Santangelo e l´ultimo della lista dei candidati, l´architetto Gabriele Szaniszlò, ci si sposta in una camera senza sedie, la porta è chiusa a chiave, e una addetta del Dipartimento vieta a chiunque di entrare.
    Dunque cosa abbiamo detto io, la Santangelo e Szanizlò lo sa soltanto la commissione. Terminato l´iter, la commissione decide che gli idonei vanno scelti tra il sottoscritto, la Santangelo e i concorrenti Maraventano e Szaniszlò. L´assurdo è che tutti e quattro abbiamo il giudizio finale collegiale identico, parola per parola, virgola per virgola. Dunque o dovremmo essere tutti idonei, cosa impossibile, ovvero se i giudizi sono identici in base a quale criterio la commissione potrà scegliere gli idonei? Eppure, ovviamente, li sceglie: la Santangelo e Szaniszlò.
    Chiedo allora al rettorato la copia conforme di tutte le sedute del concorso, per conoscere quali titoli superiori ai miei abbiano presentato i vincitori. I miei titoli comprendono: quattro volumi editati, tutti esauriti e uno, anch´esso esaurito, che ha avuto una seconda edizione; ventisei articoli su riviste italiane e straniere, per complessive circa duecento pagine; diciotto saggi sui miei scritti, tra i quali una laurea che tratta delle mie teorie, discussa alla Sorbona di Parigi; ho partecipato a ventuno mostre, conferenze e convegni; ho insegnato ininterrottamente dal 1990 a oggi, come docente supplente; sono stato relatore di circa seicento tesi di laurea; ho partecipato a trenta concorsi di progettazione, ottenendo un secondo posto e cinque segnalazioni.
    La “idonea” Santangelo, tecnico laureato, contrattista e poi dottore di ricerca, dal settembre 2004 ha partecipato a sette concorsi per associato, è sempre stata ritenuta “non idonea”; è stata valutata da trentacinque docenti di tutta Italia, ma solo quelli di Napoli ne hanno colto il valore. La sua produzione consiste in 44 pagine scritte in sei libri diversi, in collaborazione; quattro anni di docenza a supplenza, dal 1994 al ‘96 e dal 2003 al 2006. Nulla si sa della sua produzione progettuale.
    Così si seleziona la nuova classe docente che auspica il ministro Mussi. Da quanto detto tutto l´iter è troppo chiaro. Dimenticavo. Contro di me e la Maraventano hanno votato, naturalmente, i tre napoletani. Ho presentato ricorso al Tar, ma, con i tempi secolari di questo, credo che andrò prima in pensione. Mi scuso della lunghezza della lettera, che forse non ha nulla di originale, essendo soltanto il resoconto di quanto avviene regolarmente.

  9. Cristiano Cossu ha detto:

    Grazie Federico, repetita iuavant…………………….
    buona fortuna
    cristiano

  10. Cristiano Cossu ha detto:

    Grazie Federico, a volte la ripetizione del già noto è terribilmente efficace…
    buona fortuna
    cristiano

  11. paolo di caterina ha detto:

    mi turba pensare che cristiano cossu, appena scritto il suo primo commento, si sia reso conto che, oramai, nessuno piu parla il latino!
    pensavo che oramai non ci sono più architetti,…….. ma solo “muratori”!!

  12. paolo di caterina ha detto:

    ops!
    intelligenti pauca!
    nessuna ironia sul curatore del nostro blog,……. citavo solo il vecchio Adolf.

  13. isabella guarini ha detto:

    Ehi, ragazzi, direi che il tempo è galantuomo e che prima o poi le malefatte vengono a galla. Nel caso dell a Facoltà d’Architettura di Napoli, la novità del vecchio adagio sta nel fatto che il coperchio del vaso di Pandora viene sollevato dall’interno. mentre siamo portati a credere che il coperchio si sollevi dal manico esterno. Vi propomgo la lettura di un mio scritto su un settimanale del 1989 che fu ripreso anche da altri procurandoci non pochi fastidi.

    CRONACA
    Sabato 22 luglio 1989.

    Una studentessa accoltellata nel bagno della Facoltà di Architettura

    Ritiro quotidiani e riviste dall’edicola infuocata e cerco riparo nello studio. Subito sono attratta da un occhiello in prima pagina del “Giornale di Napoli”: “Architettura o Sud-Africa?” di N.P.
    Venerdì scorso, quattordici luglio, mentre Parigi ed il mondo ricordava, ciascuno a suo modo, il bicentenario del Tempo Moderno, delle libertà sociali, del rispetto civile, in un cesso della Facoltà di Architettura di Napoli, una studentessa veniva rapinata ed accoltellata.
    Mi affretto a sfogliare; in terza pagina tutto il dram ma di una Facoltà universitaria che, a cinquant’ anni dal la sua fondazione, decade neonata rispetto al vegliardo Ateneo napoletano, detto federiciano per via di quel Federico 11 che la fondò nel 1224.
    Bussano alla porta; mi chiedo chi possa essere dal momento che di sabato lo studio è chiuso. Apro e compaiono due giovani che, salutandomi, annunciano la loro recente laurea in Architettura. Mi congratulo.
    I due neo-dottori notano il mio buon umore; dico che ho appena finito di leggere una elegante sceneggiatura delle miserie di Palazzo Gravina, porgendo il giornale.
    Uno di loro, una giovane donna. comincia a leggere ad alta voce, l’altro segue con lo sguardo.
    Alla parola “cesso” ridacchiano; io già assaporo il piacere di decodificare le immagini offerte dall’articolo del professore N. P., ma improvvisamente i sapori, gli odori, i ritmi antichi evocati dallo scritto, si perdono nella terrificante lettura della neo- collega che legge la cronaca difatti vissu ti, come le controindicazioni di un lassativo: “…i fidelissimi della Cancelleria puntellano il potere, trattati nel privato più o meno come Hitler redarguiva il dolce Hesse, Goebbels ed il duro Von Ribbentrop. A questo punto ,la fatidica domanda: “Chi sono costoro?”
    La cruda realtà mi obbliga a dare informazioni sui tre generalì di Hitler.
    In particolare parlo di Goebbcls (Paul Joseph!) che fu ministro del Reich per la propaganda, uomo fanatico ed abile per avere capito l’importanza dei “mass media” promuovendo la più violenta diffusione dei miti nazisti. A poche ore dalla morte di Hitler uccise con il veleno i suoi familiari e si suicidò.
    Così mi sembrava di risentire la voce del mio professore di filosofia: “Ricordate che i mezzi di comunicazione possono essere micidiali anche in democrazia”. I due ascoltano senza rivelare emozioni (figli della TV!).
    La lettura riprende, sono di scena le commissioni “per la nomina dei docenti di tutte le fasce che producono docenti per donazione!”
    “Clonazione – ribatto con severità – è scritto clonazione non donazione!” Spiego: donazione è un termine scientifico, indica il processo mediante il quale si ottengono individui geneticamente identici. In natura si verifica tra alcuni organismi vegetali ed invertebrati.
    Significa che nella Facoltà d’Architettura non c’è spazio per la diversità culturale, pena l’emarginazione o il confino, come scrive il prof.N.P?.
    “Ho sentito dire, esclama il giovane scuotendosi dal torpore, che il docente tal dei tali ha, persino, schiaffeggiato in pubblico un ricercatore…!!!
    Inorridiamo e, dopo aver attraversato “il lugubre cimitero di coscienze”, entriamo nel quadro “del capo della Cancelleria chiuso nella sua disperata solitudine… tra lampi e fischi lamentosi… il riapparire dei fantasmi delle libere coscienze esautorate… il rotolare della corona”.
    Qui il gioco del l’ immaginazione ci rapisce. Come nel la taverna dei destini incrociati di Italo Calvino, abbandoniamo il sentiero del professore autore dell’articolo e seguiamo la corona roto lante, giù per le scale, e nel cortile, dove è palleggiata da oscuri giocatori, balzati in avanti da quella folta schiera di , mercanti e saltimbanchi, che popolano le corti dei nostri giorni.
    La corona finisce ai piedi del “bidellino”, custode di tale inferno che la raccoglie e se la dispone, spudoratamente, sulla testa a ricompensa dei primi soccorsi prestati alla studentessa “accoltellata” tra la infingardaggine degli astanti.”

    Napoli, 8 sett. 1989. La città riprende il ritmo di sempre. Sui quotidiani le notizie non variano: scandali, morti ed emergenze.
    Si dà notizia, incredibilmente, che docenti d’ architettura stranieri ed italiani, arroccati in Castel Sant’Elmo, ultimo baluardo di difesa di antichi regni, progettano il futuro urbanistico della città di Napoli in un seminario a cui hanno aderito novanta rampolli provenienti da tutto il mondo. Della studentessa “accoltellata” nel lager di Palazzo Gravina nemmeno il più pallido ricordo!
    Isabella Guarini
    Architetto

    Questi gesti nascondono profonde inquietudini o vanno ritenuti soltanto occasionali?

  14. Carlo Rivi ha detto:

    (…) Non c’è niente da ammirare, diceva ieri Reger, niente, assolutamente niente. Dato però che la stima e il rispetto sono troppo difficili, la gente si limita ad ammirare, le torna più comodo ammirare, diceva Reger. L’ammirazione è più facile del rispetto e della stima, lo stato di ammirazione è la prerogativa degli idioti, diceva Reger. Solo l’idiota ammira, l’uomo intelligente non ammira, l’uomo intelligente rispetta, stima, capisce, e basta. Ma per rispettare, per stimare, per capire, ci vuole ingegno, e la gente non ha ingegno, dei perfetti imbecilli che sono in effetti del tutto privi di ingegno si spingono fino alle piramidi e si aggirano tra le colonne siciliane e si fermano davanti ai templi persiani inondando di ammirazione se stessi e la propria ottusità, diceva. Lo stato di ammirazione è uno stato di deficienza mentale, diceva ieri Reger, quasi tutti vivono in questo stato di deficienza mentale.

    (…) L’ammirazione però non è soltanto una caratteristica delle cosiddette persone incolte, la si trova anzi in proporzioni spaventose, addirittura terrificanti, direi, anche e soprattutto presso le cosiddette persone colte, il che è ancora più ripugnante. La persona incolta ammira semplicemente perché è troppo stupida per non ammirare, la persona colta invece perché è troppo perversa, diceva Reger.

    Thomas Bernhard, Antici Maestri

  15. Cristiano Cossu ha detto:

    “mi turba pensare che cristiano cossu, appena scritto il suo primo commento, si sia reso conto che, oramai, nessuno piu parla il latino!
    pensavo che oramai non ci sono più architetti,…….. ma solo “muratori”!!”

    ciao Paolo
    è che volevo correggere l’errore “iuAvant”, che poi poteva risultare anche un simpatico refuso architettese… e pensando di essere tornato indietro ho inserito un’altra frase.
    Riguardo ai muratori che conoscono il latino, sarebbe troppo facile dire che ormai ci sono quasi soltanto caddisti che masticano l’inglese e manovali che parlano albanese. Troppo facile, appunto…
    ciao

  16. g45 ha detto:

    Ma Lei, Carlo Rivi, è uno che ammira oppure si limita a rispettare, stimare e capire?

  17. edro ha detto:

    Ma queste leggi le scrivono solo gli ingegneri ? :

    D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380
    Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia edilizia

    Art. 68 (L) – Controlli

    2. Le disposizioni del precedente comma non si applicano alle opere costruite per conto dello Stato e per conto delle regioni, delle province e dei comuni, aventi un ufficio tecnico con a capo un INGEGNERE.

    http://www.tonirizzo.it/opere%20publiche%20e%20private/opere3_pubbliche_opere_private_p.htm

    saluti

    Toni Rizzo

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